L’impegno italiano su cooperazione allo sviluppo e lotta alla povertà
Il nuovo dossier Cooperazione Italia, ritorno al passato, diffuso oggi da Openpolis e Oxfam illustra e spiega come le stime relative alle risorse che il governo intendeva destinare all’aiuto pubblico allo sviluppo (aps) e dunque alla cooperazione internazionale sono completamente disattese, dalla legge di bilancio approvata il 30 dicembre scorso.
Nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. che indica gli obiettivi della legge di bilancio presentata a settembre era infatti previsto, che il rapporto dell’aiuto pubblico con la ricchezza nazionale (aps/rnl) si sarebbe assestato allo 0,33% nel 2019, per poi crescere allo 0,36% nel 2020 e addirittura allo 0,40% nel 2021, mostrando la volontà di superare l’impegno intermedio dello 0,30% sottoscritto in sede Nazioni Unite e raggiunto nel 2017 con 3 anni di anticipo.
Promesse disattese nella nuova legge di bilancio
Con queste cifre, nel 2020 il rapporto aps/pil secondo alcune stime potrebbe calare allo 0,26 tornando a livelli inferiori al 2016.
Per il governo il tema della cooperazione non è tra quelli prioritari. Non si tratta solo di mancare gli obiettivi, effettivamente ambiziosi, che il governo si era posto con la nota di aggiornamento al Def, ma di un significativo calo dell’aps.
L’aiuto gonfiato e l’aiuto genuino
Dal 2012 al 2017 l’Italia ha destinato risorse sempre maggiori all’aps. Questo aumento è stato in buona parte trainato dalla crescita della voce “rifugiati nel paese donatore”, quasi un terzo del totale dell’aiuto pubblico ancora nel 2017. Si tratta del cosiddetto “aiuto gonfiato”, quello destinato a coprire le spese per l’accoglienza dei rifugiati e per la cancellazione del debito e non a finanziare progetti di cooperazione. Denaro che non varca i confini dell’Italia e che non viene utilizzato per gli scopi propri dell’aiuto allo sviluppo: la lotta alla povertà e il raggiungimento degli obbiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’Agenda 2030.
La quota di aps bilaterale – ossia il flusso diretto di risorse che va da dall’Italia ai paesi in via di sviluppo – in cui vengono conteggiate tali risorse, è infatti cresciuta costantemente negli ultimi anni passando dal 22,8% nel 2012 a più del 50% nel 2017. Tenuto conto di questo elemento distorsivo, si vede che l’andamento dell’aps al netto dell’aiuto gonfiato, ovvero quello che può essere definito genuino o puro è crollato nel 2012 e ha ripreso a crescere in maniera molto graduale tornando sui valori iniziali solo nel 2015. In quegli stessi anni però cresceva parallelamente in maniera molto più sostenuta la spesa italiana per affrontare la crisi migratoria superando, nel 2016, l’aps puro o genuino.
Nonostante tra il 2017 e il 2018 lo sbarco di migranti in Italia sia calato di oltre l’80%, la legge di bilancio mantiene per il triennio 2019-2021 consistenti stanziamenti per la parte della cooperazione internazionale gestita dal ministero dell’interno: al Viminale infatti continueranno in media ad essere destinati 1,6 miliardi di euro all’anno.
La diminuzione di risorse destinate ai paesi in via di sviluppo significa sostanzialmente meno soldi per cibo e acqua, salute, istruzione di base che sono elementi determinanti per combattere la povertà.
Controllo delle frontiere e strumentalizzazione dell’aiuto allo sviluppo
È un dato di fatto che l’Unione europea, verso cui confluisce una parte dell’aps italiano, ha scelto di investire in maniera crescente nel controllo delle frontiere in Africa. Questo è avvenuto in particolare attraverso il Trust fund di emergenza per l’Africa istituito nel 2015 al vertice euro-africano de La Valletta e di cui l’Italia è il secondo contributore con 110 milioni di euro.
Con un budget di 4,1 miliardi di euro – provenienti per il 95% da risorse per lo sviluppo – il Trust Fund ha utilizzato un’ampia quota delle sue risorse, pari al 35%, per l’attività di controllo delle frontiere. Si tratta ancora una volta di una tendenza che rischia di produrre una distorsione delle finalità dell’aiuto allo sviluppo.
Per far sì che la cooperazione allo sviluppo continui a essere strumento di contrasto alle disuguaglianze e di giustizia sociale è necessario distinguere le politiche di cooperazione vere e proprie da quelle di controllo e gestione delle frontiere nei paesi di origine e transito delle rotte migratorie mediterranee.
Dall’analisi dei dati definitivi del DAC (il comitato sviluppo dell’ Ocse) per il 2017, oltre la metà dell’aps bilaterale nel 2017 è andato all’accoglienza dei rifugiati, mentre all’agricoltura – considerata priorità nelle strategie della nostra cooperazione – l’Italia ha destinato a solo l’1,7%; non godono di finanziamenti significativi neanche istruzione e sanità di base che ricevono complessivamente poco più del 10%. Inoltre non risulta confermato l’impegno preso nei confronti dei paesi agli ultimi posti nei livelli di sviluppo (LDC): l’Italia è tra gli stati che donano meno a tali paesi, con un misero 0,06%, del proprio aiuto pubblico, percentuale lontanissima dallo 0,15% raccomandato dall’ONU ai paesi donatori.
Appello per non tornare indietro
Sulla base di questi dati, emerge la necessità di una rapida inversione di rotta e per questo facciamo a Governo e Parlamento le seguenti raccomandazioni:
- La riprogrammazione delle risorse dell’aps in ambito triennale tale da garantire almeno il raggiungimento dello 0,30% nel 2020.
- Rafforzare il coordinamento e la coerenza a livello interministeriale nella definizione di una strategia corrispondente a un uso appropriato delle risorse.
- Garantire che le risorse progressivamente rese disponibili dalla diminuzione dei flussi migratori vengano utilizzate in modo efficace e coerente per gli obiettivi propri della cooperazione e dell’agenda 2030.
- Aumentare le risorse da destinare ai paesi ultimi nella classifica dei tassi di sviluppo (ldcs) e garantire la coerenza tra obiettivi dichiarati, temi e paesi prioritari, risorse effettivamente allocate.