
In Tanzania, governo e organizzazioni al limite nella capacità di risposta.
Tantissimi i profughi stremati che si stanno ammassando in scuole e chiese in mancanza di una sistemazione, peggiora il quadro sanitario: necessari maggiori aiuti. In totale i burundesi in fuga sono già oltre 112 mila dall’inizio della crisi.
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L’esodo di 70.000 rifugiati burundesi in Tanzania sta mettendo a dura prova le capacità del governo e delle associazioni umanitarie di rispondere all’emergenza. Giorno dopo giorno gli operatori stanno incontrando sempre maggiori difficoltà a soddisfare le crescenti richieste di acqua potabile, cibo e riparo necessarie per assistere i profughi in fuga dal Burundi che ormai sono oltre 112 mila. L’allarme arriva da Oxfam.
In Tanzania, dove Oxfam è al lavoro per far fronte all’emergenza, il campo profughi di Nyarugusu è ormai ben oltre le proprie capacità di accoglienza: le scuole e le chiese della zona sono state trasformate in rifugi improvvisati, nell’attesa che vengano costruite sistemazioni più appropriate. Tantissime sono le famiglie, che dopo viaggi lunghi fino a tre settimane in condizioni di estreme sono ora ammassate in centinaia in scuole o nascoste sotto gli alberi per sfuggire al sole cocente.
Il governo e le associazioni umanitarie sono al lavoro per tentare di soddisfare i bisogni primari delle persone: c’è però un sempre maggiore bisogno di aiuti per acquistare il materiale essenziale come tende, tubature idriche, barili per lo stoccaggio dell’acqua e materiale medico.
“I profughi sono distrutti dalla sete e dalla fatica e molti di loro sono malati. Si contano già migliaia di casi di colera. – spiega la responsabile dell’ufficio Africa di Oxfam Italia, Silvia Testi – Hanno attraversato di tutto per arrivare fin qui, e hanno ora bisogno di acqua potabile, cibo e un riparo. Oxfam è pronta a incrementare la sua risposta, ma sono necessari maggiori aiuti”.
Oxfam è al lavoro nei campi profughi di Kagunga e Nyarugusu, assieme al partner locale TWESA per fornire acqua potabile, installare latrine e formare i profughi burundesi sulle norme igieniche necessarie per ridurre il rischio di diffusione delle malattie e prevenire la diffusione dei casi colera, che sono stati confermati proprio nelle due località.