Dall’inizio dell’epidemia di Ebola in Africa occidentale, un approccio quasi esclusivamente sanitario ha ostacolato i progressi che avrebbero permesso di prevenire prima e meglio l’estensione del contagio tra la popolazione. Secondo Oxfam infatti governi e altri enti internazionali, inclusa la stessa Oxfam, hanno avuto un approccio sbagliato nelle prime fasi di risposta all’epidemia, mentre avrebbero dovuto impegnarsi di più nel coinvolgere da subito la popolazione sulle misure di prevenzione.
Secondo Oxfam appare infatti evidente come mettere a disposizione più letti, più personale medico o più medicine nelle zone colpite da Ebola, per quanto necessario, non si sia dimostrato sufficiente a fermare l’epidemia, che ad oggi ha causato oltre 9.600 decessi e oltre 23.700 persone contagiate. Numeri atroci che oggi potrebbero essere diversi se trattamento e prevenzione della malattia, ugualmente necessarie, fossero andate di pari passo quando si sono manifestati i primi casi di Ebola, 12 mesi fa.
“Siamo ancora lontani dall’obiettivo per cui tutti stiamo lavorando, ossia l’azzeramento del numero delle persone contagiate, – afferma Sue Turrell, responsabile della risposta umanitaria di Oxfam per l’emergenza Ebola – ma la direzione che abbiamo imboccato è comunque positiva e di certo non possiamo permetterci di togliere il piede dall’acceleratore proprio adesso. Un risultato che non sarebbe stato possibile raggiungere, senza il grande coraggio del personale medico che ha affrontato e sta affrontando l’epidemia. Ma il lavoro che è stato fatto assieme alle persone a rischio di contagio è stato ugualmente cruciale. Una volta che le persone vengono davvero coinvolte, che comprendono cosa bisogna fare per rimanere al sicuro, e vengono aiutate e seguite in tutte le operazioni che possono salvarle, allora si arriva davvero al punto di svolta nel contenere l’epidemia. Se ci fosse stato un impegno più tempestivo nel coinvolgere la popolazione probabilmente moltissime vite non sarebbero andate perdute”.
“Tuttavia, considerata la novità di questa crisi, non c’è da sorprendersi nel vedere che le associazioni coinvolte nella risposta all’emergenza, abbiano compreso tutto ciò solo strada facendo – aggiunge la responsabile dell’ufficio Africa di Oxfam Italia, Silvia Testi – Come Oxfam abbiamo fatto fatica, allo scoppio della crisi, a trovare un equilibrio tra le necessità di proteggere il nostro staff al lavoro sull’emergenza e la necessità di aiutare la popolazione colpita: abbiamo dovuto adattarci rapidamente per cercare di fare la differenza per la gente. Nei paesi colpiti l’inferno dell’Ebola ha cambiato tutto, stravolgendo gli aspetti più intimi e privati della vita di tutti i giorni: i rapporti e le relazioni che le persone hanno con familiari, vicini, partner, defunti e il proprio corpo. Per convincere le persone a cambiare alla radice le proprie abitudini e a comprendere il rischio che la malattia porta con sé, un approccio inclusivo che tenga conto delle emozioni e della percezione reale che la gente ha dell’epidemia è stato quindi di vitale importanza”.
Interviste e l’osservazione diretta tra la gente, ad esempio, hanno rilevato che per la popolazione della Liberia, uno dei tre paesi più colpiti, le prime misure d’intervento messe in campo nella risposta all’Ebola hanno generato sfiducia nei confronti del lavoro delle agenzie governative e un timore diffuso verso le misure mediche messe in campo, con il conseguente ricorso a forme di auto-trattamento della malattia.
Secondo Oxfam, l’obiettivo principale ossia l’azzeramento dei casi di Ebola non sarà facile da raggiungere, per arrivarci però oltre ad un efficace trattamento della malattia a livello medico sarà necessario che i governi e le associazioni umanitarie diano un peso maggiore al coinvolgimento delle comunità coordinando gli interventi necessari al livello dei singoli distretti e province.