22 Settembre 2022

Elezioni, l’analisi delle proposte: lavoro povero

 

Elezioni, l'analisi delle proposte: lavoro povero

Continua la nostra analisi delle proposte in vista delle elezioni. Questa volta parliamo di salario minimo, lotta alla precarietà, politica industriale. Delle misure necessarie per ridare valore e dignità al lavoro in Italia

di Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale e disuguaglianze economiche di Oxfam Italia

Il lavoro è il pilastro fondativo del nostro patto di cittadinanza. La nostra Costituzione lo considera la base per la dignità e la libertà dell’individuo e gli riconosce un’importante funzione: quella di concorrere al progresso materiale e spirituale della nostra società. Oggi però il dettato costituzionale appare contraddetto dalla realtà. Una realtà contraddistinta da forte precarietà, discontinuità e saltuarietà lavorativa, da ampie e crescenti disuguaglianze, da vecchie e nuove forme di sfruttamento, dal valore sociale del lavoro scarsamente riconosciuto. In troppi casi avere un’occupazione non basta più a condurre un’esistenza libera e dignitosa. A far fronte ai bisogni del proprio nucleo familiare. A garantirsi prospettive di un futuro di benessere.

Un lavoratore su 8 vive in una famiglia che non riesce a far fronte ai bisogni di base

Nel nostro Paese il lavoro è sempre più povero: 1 lavoratore su 8 vive in una famiglia con reddito disponibile insufficiente ai propri bisogni di base. Ben al di sopra della media Ue, e l’incidenza della povertà lavorativa, misurata in ottica familiare, ha mostrato una crescita sostenuta in poco più di un decennio. Un fenomeno che colpisce di più i nuclei monoreddito, chi ha un lavoro autonomo, e i dipendenti con un impiego a tempo parziale.

Guardando agli esiti individuali sul mercato del lavoro, anche l’incidenza dei lavoratori con basse retribuzioni risulta in forte crescita. Riguarda oggi quasi 1 lavoratore su 5 (1 su 3 nel settore privato), con un rischio più elevato per gli occupati in regime di part-time, per i giovani e per le donne. Soffermiamoci dunque su alcune delle cause all’origine del fenomeno, sull’attenzione che le forze politiche gli attribuiscono nei programmi in vista delle elezioni. E su come, dal punto di vista di Oxfam, ognuno di noi può contribuire con il proprio voto a ridare potere, valore e dignità al lavoro.

Irrigidimento contro maggiore flessibilità del mercato del lavoro

La lunga stagione delle politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro ha prodotto una moltiplicazione delle tipologie contrattuali atipiche. Assieme ad una progressiva riduzione dei vincoli per i datori di lavoro, ad assumere lavoratori con contratti a termine o a esternalizzare attività o parti del ciclo produttivo. Rendendo più accentuata la contrapposizione tra un segmento di lavoratori più protetto – con maggiore stabilità delle relazioni contrattuali, salari più elevati, possibilità di accesso alla formazione continua e agli ammortizzatori sociali – e una componente crescente di lavoratori con prospettive peggiori. In termini di stabilità lavorativa, retribuzione, trattamento pensionistico, accesso al credito e alla formazione. La mobilità tra i due segmenti appare ridotta e l’occupazione a termine – lungi dal rappresentare un trampolino verso un’occupazione stabile – presenta forti rischi di intrappolamento in condizioni lavorative precarie e di allargamento delle disuguaglianze.

In questo scenario, il centrodestra non solo intende confermare lo status quo, ma, ritenendo il mercato del lavoro “troppo rigido”, ambisce a spingersi oltre. Reintroducendo ad esempio in modo stabile i voucher per il settore turistico e l’agricoltura. Una posizione, in vista delle elezioni, condivisa anche dal Terzo Polo. Marcatamente opposta è la visione delle forze di sinistra. Favorevoli all’eliminazione di forme contrattuali atipiche – funzionali in buona parte alle strategie competitive delle imprese basate sulla compressione dei costi del lavoro – e a limitazioni dell’utilizzo dei contratti a termine (proposta supportata anche dal Movimento 5 Stelle). Con ricorso a causali stringenti e circoscritte stabilite per legge (posizione condivisa da Verdi e Sinistra Italiana, Unione Popolare, M5S) o valorizzando la contrattazione collettiva (come proposto dal Partito Democratico).

Minimi salariali adeguati

Garantire salari adeguati è condizione necessaria per contrastare la povertà lavorativa di chi è impiegato con un contatto di tipo subordinato. Non è sufficiente da sola però a ridurre il fenomeno su cui pesa, in modo rilevante, la discontinuità lavorativa o il numero esiguo di ore lavorate durante l’anno. Minimi salariali validi per tutti i lavoratori dipendenti costituiscono lo strumento di tutela principale contro le situazioni di basso salario.

Per garantirli nel contesto italiano le strade percorribili sono notoriamente due, attuabili in parallelo. In primis l’estensione dei contratti collettivi principali, stipulati tra soggetti maggiormente rappresentativi, a tutti i lavoratori del settore (erga omnes). In secondo luogo, la previsione di un salario minimo legale per i lavoratori dipendenti, in grado – non passi inosservato – di influenzare (“effetto faro”) anche i salari dei lavoratori formalmente autonomi, ma che condividono alcune caratteristiche dei dipendenti. A partire da un limitato potere negoziale.

A pochi giorni dalle elezioni, il centrodestra disconosce quasi in toto l’importanza dei due interventi. Il centrosinistra e il Terzo Polo sono invece favorevoli all’erga omnes, come presidio contro la contrattazione pirata. Il salario minimo per legge è avallato da M5S, Unione Popolare, Verdi e Sinistra Italiana. Invece per il Partito Democratico deve avere natura contrattuale, e non legale, e deve essere previsto solo per i settori a più alta incidenza di povertà lavorativa.

Nuova e buona occupazione

Sull’esplosione del lavoro povero in Italia pesa il più che ventennale processo di de-industrializzazione italiana. Assieme ad un’evoluzione della struttura occupazionale contraddistinta da un’espansione di occupazioni in settori economici a bassa produttività del lavoro, impieghi poco qualificati, precari e scarsamente retribuiti. Contrastare l’indebolimento dell’economia nazionale, riqualificare lo sviluppo del paese in campo tecnologico ed ambientale, favorendo la creazione di buona occupazione, richiederebbe quindi un serio ripensamento delle nostre politiche industriali. Una visione strategica che si presenta sbiadita nel nostro Pnrr e poco accentuata nella maggior parte dei programmi in vista delle elezioni del 25 settembre.

Molto spazio viene dedicato dai partiti sotto elezioni a incentivi fiscali e contributivi all’occupazione dei giovani, delle donne, al Sud. Al necessario e benvenuto rafforzamento del sistema delle politiche attive (seppure con un discutibile crescente ruolo dei servizi per l’impiego privati proposto dal centrodestra e dal Terzo Polo), formative e di accompagnamento alle transizioni produttive e occupazionali. Ma solo in pochi casi, nella compagine di sinistra, l’enfasi programmatica viene spostata sul fondamentale miglioramento delle politiche industriali e sul ruolo centrale dell’operatore pubblico. Un’azione imprescindibile, dal nostro punto di vista, per agire sull’offerta di lavoro stabile e di qualità.

“LA LENTE DELLA GIUSTIZIA FISCALE SUI PROGRAMMI ELETTORALI” –  LEGGI L’ANALISI DEL NOSTRO POLICY ADVISOR MIKHAIL MASLENNIKOV

“IMMIGRAZIONE E ASILO ALLA PROVA DEL VOTO” –  LEGGI L’ANALISI DELLA NOSTRA POLICY ADVISOR  GIULIA CAPITANI

“COOPERAZIONE E AIUTO PUBBLICO ALLO SVILUPPO NEI PROGRAMMI ELETTORALI” – LEGGI L’ANALISI DEL NOSTRO POLICY ADVISOR FRANCESCO PETRELLI

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