Mentre aumentano fame e povertà, i Paesi del G20 stanno incassando dai Paesi più poveri del mondo 136 milioni di dollari al giorno in pagamenti del servizio del debito
Appello urgente al G20 per un Piano di salvataggio, scongiurando il taglio della spesa pubblica: tre quarti dei Paesi prevedono tagli per 7.800 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni
Misure di supporto per famiglie ed imprese contro il caro-vita e il caro energia sono in cima alle agende istituzionali dei governi di tutto il mondo. Lo spazio di manovra è tuttavia particolarmente esiguo nelle nazioni povere, intrappolate nella morsa debitoria e costretti a pagamenti del servizio del debito nei confronti dei Paesi del G20 al ritmo di 136 milioni di dollari al giorno nell’anno in corso. In un momento in cui 828 milioni di persone devono affrontare la fame e l’incidenza della povertà estrema è aumentata per la prima volta da decenni durante la pandemia.
È l’allarme lanciato da Oxfam alla vigilia del G20 in programma il 15 e 16 novembre a Bali in Indonesia.
I PAESI POVERI SPENDONO PER IL SERVIZIO DEL DEBITO 4 VOLTE IN PIU’ CHE PER LA SANITA’
Dall’inizio dell’emergenza sanitaria, i Paesi poveri hanno versato 113 miliardi di dollari ai creditori del G20.
Nel solo 2021 i Paesi a basso reddito hanno speso, in media, il 27,5% delle risorse pubbliche per il servizio del debito: quattro volte la spesa per la sanità – a fronte del numero di morti da Covid-19 nelle nazioni povere quattro volte superiore a quello nelle nazioni ricche nei primi due anni della pandemia – e 12 volte la spesa per la protezione sociale.
I PAESI POVERI ALLA PROVA DEL CLIMA E DELLA FAME
Anche i finanziamenti pubblici per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici che le nazioni povere stanno ricevendo dai paesi ricchi – tra cui molti membri del G20 – sono stati erogati per il 71% sotto forma di prestiti con il rischio di acuire ulteriormente la spirale del debito. Nel frattempo gli aiuti umanitari per fronteggiare l’insicurezza alimentare sono lungi dall’essere adeguati: le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per 17,1 miliardi di dollari per rispondere alla crisi alimentare mondiale nel 2022, ma finora i grandi donatori hanno stanziato solo 7 miliardi di dollari. Un ritardo drammatico se si considera che nei prossimi mesi in media 1 persona ogni 36 secondi potrebbe morire di fame in Africa orientale, a causa della siccità che non accenna ad attenuarsi, e milioni di persone si trovano già sull’orlo della carestia.
L’ALTRA FACCIA DELLA CRISI: PROFITTI RECORD E PATRIMONI IN CRESCITA
Se la crisi del “costo della vita” dispiega i suoi effetti devastanti sulle persone in condizioni e contesti di maggiore vulnerabilità e non sembra destinata ad arrestarsi a breve, c’è chi dalla crisi sta traendo indubbi benefici. Le grandi imprese monopoliste dell’alimentare e dell’energia stanno realizzando profitti record e i super ricchi che le controllano continuano a vedere crescere i propri patrimoni, al ritmo di mezzo miliardo di dollari al giorno.
Con 9 su 10 delle maggiori aziende di combustibili fossili che hanno sede nei Paesi del G20, bastano pochi dati per rendersi conto della dimensione della redditività dei big dell’energia, del cibo e degli intermediari finanziari che li finanziano. Nel secondo trimestre dell’anno in corso la British Petroleum ha realizzato utili per 7,1 miliardi di sterline, cifra record negli ultimi 14 anni; BNP Paribas – il principale finanziatore in Europa dell’industria dei combustibili fossili – ha incamerato utili per 2,76 miliardi di euro nel terzo trimestre del 2022. I miliardari che controllano le imprese, fortemente concentrate, del settore agro-alimentare, hanno visto lievitare il valore dei propri patrimoni complessivamente del 45%, ossia di 382 miliardi di dollari dall’inizio della pandemia.
“Nella narrazione pubblica sono fortemente accentuati gli impatti dell’inflazione sull’erosione del potere d’acquisto e dei risparmi e sul deterioramento delle condizioni di vita delle famiglie, ma una minore enfasi viene attribuita a chi della crisi sta beneficiando, a chi è potenzialmente parte del problema e a chi dovrebbe senza ombra di dubbio contribuire per porvi rimedio. – ha detto Misha Maslennikov, policy advisor advisor su giustizia economica di Oxfam Italia – I profitti record incamerati congiunturalmente da imprese monopoliste nel settore energetico ed alimentare, accusate anche di approfittare della crisi inflattiva, manipolando i prezzi per aumentare ulteriormente i margini, fanno a pugni con le crescenti povertà e deprivazione in tutto il mondo. I governi del G20 non devono tergiversare a chiedere un significativo contributo a chi, tra imprese e individui più facoltosi, sta vedendo i propri redditi e patrimoni crescere a dismisura nell’attuale contesto di crisi”.
L’APPELLO AL G20: TASSARE I PIU RICCHI E NON IMBOCCARE LA STRADA DELL’AUSTERITÀ
La crisi richiede interventi decisi, nuove e cospicue risorse e un’inversione di rotta rispetto al recente passato. Nel biennio 2020-2021 infatti 143 governi su 161 presi in esame da una recente indagine di Oxfam, non hanno fatto ricorso ad aumenti di prelievo sui redditi o sui patrimoni più elevati e 11 paesi hanno persino ridotto il carico fiscale sui cittadini più facoltosi.
Nello stesso periodo metà dei paesi analizzati da Oxfam ha ridotto la quota della spesa pubblica destinata alla protezione sociale e il 70% dei Paesi ha tagliato quella destinata all’istruzione. Nei prossimi cinque anni tre quarti dei paesi del globo pianificano inoltre riduzioni di spesa per oltre 7.800 miliardi di dollari.
“Tagli indiscriminati alla spesa pubblica costituiscono la risposta sbagliata alla crisi e per gli anni a venire, una risposta che mina la tenuta sociale e rischia di esacerbare ulteriormente povertà e disuguaglianze – continua Maslennikov – I paesi del G20 dovrebbero invece affrontare con decisione le cause di lungo corso della povertà e dei crescenti divari economici e sociali e impegnarsi con maggiore profusione a supportare i paesi più vulnerabili”
Nel dettaglio Oxfam chiede al G20 di:
- adottare strategie di lungo periodo per contrastare le crescenti disuguaglianze e monitorare i progressi compiuti, incrementando la spesa pubblica per salute ed istruzione, rendendo i sistemi fiscali più progressivi e avallando misure che espandano i diritti e aumentino le retribuzioni dei lavoratori;
- accordare nuove moratorie sui pagamenti del servizio del debito e prevedere ristrutturazioni eque del debito dei Paesi più poveri;
- assoggettare o aumentare l’imposizione fiscale sui grandi patrimoni e introdurre forme di prelievo straordinario sugli extra-profitti societari;
- emettere un maggior numero di Diritti Speciali di Prelievo, riallocandone una quota sostanziosa ai Paesi più poveri;
- aumentare i finanziamenti per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici nei Paesi poveri maggiormente colpiti da eventi climatici estremi;
- accelerare il processo di elaborazione e negoziazione di uno strumento internazionale al fine di rafforzare la prevenzione, la preparazione e risposta alle pandemie.
Inoltre per contrastare l’aumento della fame globale è necessario:
- stanziare al più presto le risorse necessarie ad affrontare le principali emergenze umanitarie in corso;
- affrontare le cause alla radice dell’attuale crisi alimentare mondiale, tra cui i cambiamenti climatici, i conflitti e l’inflazione dei prezzi alimentari;
- garantire che le sanzioni economiche e le attività militari in tutti i Paesi non ostacolino le forniture alimentari e agricole, soprattutto verso le aree colpite da conflitti;
- riequilibrare il potere nelle catene di approvvigionamento alimentare per creare un sistema più giusto e sostenibile.