Gaza, un anno dopo
OXFAM: “UNA GENERAZIONE PERDUTA, DUE GIOVANI SU TRE SENZA LAVORO”
A un anno esatto dall’inizio dell’operazione “Protective Edge” la disoccupazione giovanile nella Striscia è schizzata al 67,9 per cento, tra le più alte al mondo: con il PIL crollato di 3.9 miliardi di dollari, e 19 mila case da ricostruire, l’80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari. Ancora alto il rischio di riesplosione del conflitto.
Ad un anno dall’inizio dell’operazione “Protective Edge” e dal successivo conflitto che in quasi due mesi di guerra ha lasciato dietro di sé oltre 2.000 vittime, di cui 1.600 civili, e più di 11.000 feriti, le condizioni di vita e economiche nella Striscia di Gaza restano gravissime. E’ l’allarme lanciato da Oxfam per una crisi dimenticata, con un’intera generazione di giovani, chiusa in un lembo di terra, che oggi rischia di non avere un futuro. La disoccupazione tra i giovani sotto i 24 anni è infatti schizzata al 67,9%, una delle più alte mondo. Una crisi occupazionale devastante che colpisce anche i laureati, con il 40% di loro che non riesce a trovare un’occupazione. Così, mentre sullo sfondo rimane il timore di una nuova esplosione della violenza o di un definitivo collasso economico di Gaza, sono sempre di più i giovani che in cerca di un lavoro rischiano la vita, scavalcando le recinzioni al confine con Israele. In totale sono oltre 300.000 i giovani che attualmente hanno bisogno di assistenza psicologica per riuscire a superare i traumi e le sofferenze causate dai ripetuti conflitti e dagli 8 anni di blocco israeliano, che limita la circolazione delle persone e delle merci, impedendo di fatto il processo di ricostruzione. Conseguenza? L’economia della Striscia non riesce a ripartire e l’80 per cento della popolazione dipende dagli aiuti internazionali per la propria sopravvivenza.
“E’ incredibile che, a un anno dalla fine della guerra, ancora pochissimo sia stato fatto per sostenere la ripresa di Gaza. – afferma Riccardo Sansone, responsabile per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Se si vuole raggiungere una pace stabile nella regione, è necessario dare ai giovani la possibilità di immaginare un futuro migliore in cui possano studiare, realizzare i loro sogni, avere una famiglia e nutrire speranze per i propri figli. Sarà possibile costruire una pace duratura, in cui sia garantito il rispetto dei diritti umani, solo permettendo la ripresa economica della Striscia con la fine del blocco israeliano”.
Una ricostruzione lunga 70 anni
Al ritmo attuale, secondo le ultime stime, se il blocco israeliano resterà in vigore, ci vorranno più di settant’anni per ricostruire tutte le abitazioni di cui la popolazione di Gaza ha bisogno. Sebbene alcuni edifici danneggiati siano stati riparati, nessuna delle oltre 19 mila case andate completamente distrutte o gravemente danneggiate dai bombardamenti dell’anno scorso è stata ricostruita. In macerie restano anche venti scuole, oltre a ospedali, cliniche e altre infrastrutture essenziali per la vita della Striscia. Secondo Oxfam è perciò necessario che anche le diverse fazioni politiche palestinesi lavorino insieme per garantire la ripresa del processo di ricostruzione.
Dal blocco al rischio di una riesplosione del conflitto: gli effetti sull’economia di Gaza
La politica di separazione tra Gaza e la Cisgiordania, imposta dal governo israeliano, ha avuto un impatto devastante sull’economia dell’area: secondo la Banca Mondiale, il PIL corrente di Gaza è infatti crollato di 3,9 miliardi di dollari. Nonostante i bisogni urgenti di ricostruzione dettati dall’ultimo conflitto, il numero di persone impiegate nel settore delle costruzioni, un tempo fiorente, è sceso di oltre il 50% dall’inizio del blocco. La produzione agricola è diminuita del 31% solamente nell’ultimo anno. Dall’inizio del blocco nel 2007, per coloro che hanno ancora un lavoro, gli stipendi sono scesi in media del 15%, passando da 69,1 NIS al giorno a 61,4 NIS: nei settori della pesca e dell’agricoltura il calo arriva al 26%.
Nonostante l’accordo per un cessate il fuoco temporaneo dell’anno scorso, gli attacchi contro la popolazione civile non si sono fermati. Negli ultimi dodici mesi, si sono contati sei razzi palestinesi lanciati verso Israele, oltre a circa 170 lanci di prova, di cui la maggior parte verso il mare, a fronte di più di 700 incidenti di fuoco israeliano verso Gaza: di questi, ben 300, più di uno al giorno, sono stati diretti contro singoli pescatori. A causa delle “Aree ad Accesso Limitato” dentro Gaza, imposte dall’esercito israeliano, gli agricoltori hanno perso l’accesso ad un terzo dei terreni agricoli e i pescatori non riescono più a condurre la propria attività.