Produrre cibo genera gas a effetto serra, ma i cambiamenti climatici producono fame nel Sud del mondo. Oxfam lancia una giornata mondiale d’azione per chiedere alle Dieci Grandi Sorelle del Cibo di fare di più contro cambiamenti climatici e fame
Tempeste, alluvioni, siccità, eventi meteorologici estremi sono tra gli effetti più eclatanti del cambiamento climatico. Ma non sono i soli, perché ce n’è un altro meno riconoscibile e certo meno conosciuto: la fame. Questi eventi infatti hanno un forte impatto sulle riserve di cibo del pianeta, e gli effetti sono già visibili: aumento dei prezzi, aumento della fame e della povertà, distruzione delle vite e delle capacità di reddito degli uomini e delle donne che coltivano il pianeta. Secondo gli esperti, entro il 2050 potrebbero esserci oltre 50 milioni di affamati in più a causa dei cambiamenti climatici.
Ma cosa chiude il cerchio, rendendolo ancora più vizioso? Il fatto che il 25% delle emissioni globali che determinano il cambiamento climatico sia ascrivibile alla produzione industriale di cibo delle grandi multinazionali dell’alimentare. Un legame tra produzione del cibo e inquinamento assolutamente non ovvio, messo in luce dalla campagna di Oxfam Scopri il Marchio, che analizza le politiche delle 10 più grandi multinazionali del cibo che hanno un impatto sulla povertà.
Secondo le stime di Oxfam, qualora queste aziende adottassero politiche produttive più adeguate, potrebbero tagliare le loro emissioni di 80 milioni di tonnellate entro il 2020, un’azione equivalente a chiudere al traffico le maggiori città del mondo: Los Angeles, Pechino, Londra e New York.
“Chiediamo ai cittadini italiani e a quelli di tutto il mondo di essere dei consumatori consapevoli facendo sentire la propria voce perché le imprese presenti con i loro prodotti alimentari nella quotidianità delle nostre tavole, modifichino il modo di produrre cibo, migliorando le proprie politiche di contrasto e prevenzione dei cambiamenti climatici”, ha dichiarato Maurizia Iachino, Presidente di Oxfam Italia. “La voce dei consumatori di tutto il mondo ha già avuto grandi effetti: la campagna Scopri il Marchio è riuscita ad ottenere impegni importanti delle multinazionali del cibo in tema dei diritti delle lavoratrici e della salvaguardia della terra dei piccoli produttori, colpiti dal land grabbing. Un dialogo fin qui molto positivo, che ci auspichiamo possa produrre effetti concreti anche sul cambiamento climatico”.
Alcune delle grandi compagnie del settore alimentare stanno guardando già con maggior attenzione alle perdite subite a causa dei cambiamenti climatici: Unilever ha calcolato perdite per 415 milioni di dollari l’anno, General Mills ha perso 62 giorni di raccolto solo nel primo trimestre del 2014 a causa di fenomeni atmosferici estremi. In generale, Unilever, Coca Cola e Nestlé sono le aziende con le politiche più avanzate in tema di cambiamenti climatici: tuttavia tutte hanno abbondante spazio per migliorare le proprie azioni. Nessuna di queste aziende si è però impegnata a livello globale per ridurre le emissioni derivanti dalla produzione agricola, o pretendere dai loro fornitori l’adozione di target specifici: solo la filiale inglese di PepsiCo si è impegnata a ridurre le emissioni dalla propria filiera di fornitura del 50% in 5 anni.
Una lotta nell’interesse stesso del loro futuro: secondo le nostre stime, i prezzi di alcuni prodotti, i Corn Flakes della Kellogg o i cereali di General Mills, potrebbero aumentare fino al 44% nei prossimi 15 anni a causa dei fenomeni di cambiamento climatico”, afferma Elisa Bacciotti, Direttrice Campagne e Programmi in Italia di Oxfam Italia. In questo blog le istruzioni per aderire all’azione su Facebook.