di UMBERTO DE GIOVANNANGELI
esperto di temi internazionali, consulente Oxfam
“Ci stanno invadendo”, “Ci rubano il lavoro”, “Mantenerli costa un sacco di soldi”. E ancora: “Sono un peso”, “vengono avvantaggiati nell’assegnazione delle case popolari”…
Vademecum per una risposta corretta, perché fondata su dati e non sul sentito dire o su pregiudizi, alle domande più ricorrenti sui migranti.
DOMANDA: “I migranti sono una marea, ci stanno invadendo?”
RISPOSTA: Nel 2014 sono sbarcate, secondo il Viminale, 170.081 persone contro le 56.192 dei due anni precedenti. Eppure non c’è stata nessuna invasione di richiedenti asilo, anzi. Lo conferma la Fondazione Migrantes della Cei. Al primo gennaio 2015, infatti, le persone rimaste nelle strutture di prima e seconda accoglienza erano poco meno di 66.000. Due rifugiati su tre hanno dunque usato l’Italia come ponte verso l’Europa usufruendo pochi giorni nei centri dopo essere stati salvati dalle navi italiane di Mare Nostrum. Secondo i dati della Fondazione Ismu, inoltre, l’intera operazione Mare Nostrum, che ha salvato 80 mila persone, è costata a ogni italiano l’equivalente di 1 euro e 90 centesimi.
DOMANDA: “Siamo in crisi, possiamo permetterci questi “pesi”?
RISPOSTA: Secondo la Fondazione Moressa gli immigrati danno all’economia italiana un contributo di 3,9 miliardi di euro. Fanno lavori che gli italiani disdegnano e sono un vantaggio per l’erario. Ad esempio, per gli oltre 750mila – in prevalenza donne – impegnati in attività di assistenza familiare, le famiglie italiane spendono ogni anno 9 miliardi di euro. Se gli stessi servizi fossero garantiti dallo Stato, l’onere per le casse pubbliche sarebbe di 45 miliardi l’anno. Nel 2014 i contribuenti stranieri hanno inciso per l’8,9 % sul Pil. E ci pagano le pensioni. L’Inps incassa dai contributi degli immigrati 7 miliardi, ma solo 26 mila lavoratori stranieri non comunitari usufruiscono di una pensione previdenziale in Italia e 38 mila ricevono una pensione di tipo assistenziale.
DOMANDA: “Lo Stato spende 30 euro al giorno a migrante. Soldi che potrebbe destinare ad altre priorità. E’ giusto?
RISPOSTA: La somma di 30 euro per profugo viene data solo alle strutture di accoglienza per coprire le spese di vitto e alloggio e non assegnata direttamente agli immigrati. Chi viene ospitato nei centri ha diritto normalmente a una scheda telefonica per chiamare la famiglia e a una diaria di 2,5 euro, il più delle volte caricata sulle chiavette per distributori di bibite o bevande calde.
DOMANDA: “Noi italiani siamo troppo buoni, apriamo le porte a tutti, mentre l’Europa non fa così…”
RISPOSTA : L’Italia, insieme ad altri paesi mediterranei per ragioni geografiche è molto impegnata nella prima accoglienza, tuttavia Gran Bretagna, Francia e Germania hanno molti più immigrati del nostro Paese, cosi come la Germania si è mostrata più aperta nell’accogliere i rifugiati siriani. Ad Oslo il 40% dei residenti è nato fuori dai confini nazionali, a Londra e Parigi più del 20%. A Milano e Roma i cittadini stranieri sono circa il 10%. A ciò si aggiunge che l’Italia è uno dei Paesi meno generosi per la concessione di asilo. Senza considerare che in quasi tutti gli altri Paesi europei ottenere la cittadinanza è più semplice e quindi molti stranieri non compaiono nelle statistiche (da noi, per diventare cittadini occorrono 10 anni di residenza ininterrotta, il permesso di soggiorno e delle garanzie economiche; tanto che sono solamente 670 mila gli stranieri naturalizzati).
DOMANDA: “L’Europa non ha bisogno di migranti. Non è un lusso che non possiamo permetterci?”
RISPOSTA: E’ vero l’esatto opposto. Una ricerca condotta dal Centro politiche migratorie dell’Università europea di Firenze, ipotizzando uno scenario senza affluenza di stranieri tra il 2010 e il 2030 ha calcolato una perdita di 33 milioni di persone in età lavorativa (-11%) fra i ventotto Stati membri dell’Unione Europea, con una riduzione del 25% dei giovani tra i 20-30 anni e un incremento del 29% per le persone comprese fra i 60-70 anni. Una condizione che avrebbe pesanti ricadute anche sul sistema di welfare della UE, dove il rapporto di dipendenza degli ultrasessantacinquenni nei confronti delle generazioni più giovani salirebbe da un 28% nel 2010 a un 44% nel 2030.
DOMANDA: “Ma l’Italia non dovrebbe pensare ai nostri bisognosi, invece di privilegiare i migranti, ad esempio nelle assegnazioni delle case popolari?”.
RISPOSTA: Nei criteri per l’assegnazione delle case popolari, naturalmente non compare la nazionalità. Ciò che conta sono: il reddito, il numero di componenti della famiglia se superiore a 5, l’età ed eventuali disabilità. Inoltre, i dati confermano che le graduatorie proporzionalmente premiano gli italiani. Gli immigrati di solito sono svantaggiati perché giovani, in buona salute e con piccoli gruppi famigliari (poiché non ricongiunti).
DOMANDA: Sono rifugiati o immigrati economici?
RISPOSTA Secondo i sostenitori di una maggiore rigidità negli ingressi, la maggior parte delle persone che sbarcano in Italia non sono rifugiati ma “comuni immigrati” che si spostano per ragioni economiche. Ma i dati dicono altro: nel 2015 la prima nazionalità tra gli sbarcati è quella dell’Eritrea, con 25.657 persone. In Eritrea c’è una feroce dittatura e i diritti civili sono di fatto aboliti. Al secondo posto c’è la Nigeria (dodicimila persone), dove c’è Boko Haram, milizia islamica responsabile di sanguinosi massacri, e che infierisce in particolare sui cristiani. Arrivano dalla Somalia quasi ottomila persone. Si tratta di un Paese afflitto da una lunga guerra, da terrorismo, conflitti di potere. E poi Sudan (guerra, terrorismo), circa seimila persone, e Siria (5.500 circa, dove oltre alla guerra c’è l’Isis).
DOMANDA: Ma non sarebbe meglio aiutarli a casa loro?
RISPOSTA: L’interrogativo è appropriato se non cela la volontà di usare questo argomento per chiudere porte ed erigere “muri” in Europa. Il punto è che in molte realtà, questa “casa” è stata distrutta, rasa al suolo, bruciata da guerre determinate anche da scelte militari assunte dall’Europa (Libia) o dagli Usa (Iraq) che hanno provocato altre tragedie e destabilizzato ulteriormente il Vicino Oriente e il Nord Africa. Ma ci sono altre “case”, leggi Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, che potrebbero funzionare da luoghi di sperimentazione di un’accoglienza e di uno smistamento di migranti non più clandestini: la Tunisia, ad esempio, può essere un laboratorio. Ma per realizzare questi progetti occorrono risorse adeguate, un pieno coinvolgimento delle organizzazioni non governative che già agiscono in quei Paesi e una stretta collaborazione con le autorità locali. In diverse circostanze, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha fatto riferimento alla necessità di sviluppare una politica di maggior attenzione verso l’Africa, parlando anche di maggiori risorse per la cooperazione internazionale. Il punto è passare dai buoni propositi alla loro realizzazione.