Nei 10 paesi più colpiti dalla crisi climatica è raddoppiato in 6 anni il numero di persone alla fame: da 21 a 48 milioni. 18 milioni sono sull’orlo della carestia
In soli 6 anni il numero di persone colpite dalla fame è più che raddoppiato nei 10 paesi che hanno registrato il maggior numero di eventi climatici estremi. Erano 21 milioni nel 2016, oggi sono 48 milioni, 18 milioni dei quali realmente sull’orlo della carestia.
Siccità, desertificazione, cicloni e alluvioni sempre più frequenti stanno mettendo a rischio milioni di vite nei contesti più vulnerabili del pianeta. Per far fronte alle emergenze umanitarie causate dalla crisi climatica servono 49 miliardi di dollari. Pari alla cifra richiesta dalle Nazioni Unite nell’appello per il 2022. Un ammontare equivalente ai profitti realizzati in meno di 18 giorni dalle grandi aziende energetiche dei combustibili fossili.
È l’allarme lanciato da Oxfam, con un nuovo rapporto pubblicato oggi, in vista dell’Assemblea annuale delle Nazioni Unite di questa settimana e della Cop27 sui cambiamenti climatici di novembre.
“La crisi climatica non è più un’emergenza pronta ad esplodere, ma una realtà di portata epocale che si sta consumando sotto i nostri occhi. – ha detto Francesco Petrelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia – Il numero di eventi climatici sempre più estremi e imprevedibili è cresciuto di ben 5 volte nell’ultimo mezzo secolo. Per milioni di persone già colpite dagli effetti della guerra in Ucraina e dalle crescenti disuguaglianze, è impossibile fronteggiare i disastri climatici. Basti pensare che tra il 2010 e il 2019 i danni materiali diretti e indiretti dovuti al clima sono stati in media di 3,43 milioni di dollari al giorno. Siamo di fronte ad una tempesta perfetta che produce una crescita esponenziale della fame globale, per la quale devono essere adottate misure urgenti, radicali e non più rinviabili. Di questo passo tra il 2030 e il 2050 fino a 720 milioni di persone – ovvero 1 abitante su 11 del pianeta – rischia di ritrovarsi in condizioni di povertà estrema a causa della crisi climatica”.
La mappa della disuguaglianza climatica
I 10 Paesi al mondo più colpiti da eventi climatici estremi negli ultimi 20 anni sono: Somalia, Haiti, Gibuti, Kenya, Niger, Afghanistan, Guatemala, Madagascar, Burkina Faso e Zimbabwe.
Stati che, pur pagando il prezzo più alto della crisi climatica, messi assieme sono responsabili di appena lo 0,13% delle emissioni globali di CO2 in atmosfera. Mentre i Paesi del G20 ne producono il 76,60%. Con i Paesi G7 che impattano da soli per quasi la metà delle emissioni globali. A fronte di una capacità di risposta e adattamento nemmeno lontanamente paragonabile a quella di questi 10 paesi.
Gli effetti più drammatici della crisi climatica si riscontrano in questo momento nei seguenti stati:
- Somalia, al 172° posto su 182 paesi per la capacità di risposta alla crisi climatica – con la peggiore siccità mai registrata, una carestia già in corso nei distretti di Baidoa e Burhakaba e 1 milione di persone costrette a lasciare le proprie case per sopravvivere;
- Kenya, dove la siccità ha ucciso quasi 2,5 milioni di capi di bestiame e lasciato 2,4 milioni di persone senza cibo, tra cui centinaia di migliaia di bambini;
- Niger, con 2,6 milioni di persone che soffrono di fame acuta (+767% rispetto al 2016), mentre la produzione di cereali è crollata di quasi il 40% per l’impatto di alluvioni, siccità e del conflitto che attraversa il Paese;
- Burkina Faso dove i livelli di fame sono cresciuti del 1350% dal 2016, con oltre 3,4 milioni di persone senza cibo a causa del conflitto in corso nel paese e del processo di desertificazione che sta bruciando campi e pascoli;
- Guatemala, dove una gravissima siccità ha contribuito alla perdita di quasi l’80% del raccolto di mais e devastato le piantagioni di caffè.
“Non abbiamo mangiato per otto giorni e ho dovuto vendere la terra dove non cresceva più niente per la siccità”, testimonia Mariana López, madre, che vive a Naranjo, nel Corridoio Secco del Guatemala.
Una catastrofe destinata a peggiorare
L’Africa produce il 2% delle emissioni, ma entro il 2030 118 milioni di persone saranno colpite dalla crisi climatica
Una catastrofe destinata a peggiorare se le temperature medie globali supereranno i 2°C di aumento (rispetto al periodo pre-industriale). Le produzioni di cereali come miglio e sorgo, infatti, potrebbero calare fino al 25% in paesi con Kenya e Burkina Faso. Nel complesso, l’Africa produce appena il 2% alle emissioni globali di CO2. Ma gli effetti del cambiamento climatico entro il 2030 potrebbero colpire fino a 118 milioni di persone. Costringendole a fare i conti con siccità, inondazioni e temperature sempre più estreme.
“La fame, alimentata dalla crisi climatica, è la riprova delle profonde disuguaglianze che attraversano il pianeta. – continua Petrelli – I Paesi che hanno minori responsabilità per la crisi climatica e quasi nessuno strumento per affrontarla, ne pagano il prezzo più alto. Nell’indice globale che misura quanto i diversi paesi siano in grado di adattarsi al cambiamento climatico, quelli più colpiti sono agli ultimi posti. Paradossalmente, i leader delle nazioni più ricche, come quelle del G20 – che controllano l’80% dell’economia mondiale – continuano a difendere gli interessi delle aziende più ricche e inquinanti, spesso tra i primi sostenitori delle loro campagne politiche ed elettorali. Si stima che le aziende che producono energia dai combustibili fossili abbiano realizzato in media 2,8 miliardi di dollari al giorno di profitti negli ultimi 50 anni. È evidente quindi quanto sia urgente un cambio di paradigma per far fronte a questa immane crisi”.
L’appello ai leader mondiali per fronteggiare la crisi climatica
“Facciamo appello ai leader mondiali, che parteciperanno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di questa settimana e alla COP 27 di novembre, perché mantengano le promesse fatte più volte sul taglio delle emissioni e sui finanziamenti per l’adattamento alla crisi climatica dei paesi poveri e più colpiti. – conclude Petrelli – È necessario inoltre stanziare immediatamente le risorse richieste dalle Nazioni Unite per fronteggiare l’emergenza. Farlo è un dovere etico, non è carità. È un’assunzione di responsabilità che riguarda il nostro comune futuro. È poi evidente, che non possiamo risolvere la crisi climatica senza correggere le disuguaglianze presenti nel sistema alimentare e in quello energetico. La strada da seguire è far pagare chi inquina di più: un’addizionale di appena l’1% sui profitti annui delle multinazionali che producono energia da combustibili fossili porterebbe circa 10 miliardi di dollari di entrate per gli stati, sufficienti a colmare gli ammanchi finanziari per far fronte all’aumento della fame globale”.