Con oltre 380 mila contagi, il Libano si trova oggi ad affrontare la pandemia, in una situazione socio-economica disastrosa, aggravata dalle conseguenze dell’esplosione al porto di Beirut il 4 agosto 2020
Da ottobre 2019 la lira libanese si è svalutata dell’80% e a novembre 2020 i prezzi dei generi alimentari erano aumentati del 422%. Nel frattempo l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 138%, il che significa che la spesa mensile di una famiglia di cinque persone per l’acquisto di generi alimentari rappresenta ben oltre la metà dei salari.
Secondo la Banca Mondiale, 1 milione di persone in Libano – cioè 1 persona su 7 – vive al di sotto della soglia di povertà definita dalle Nazioni Unite. Le donne pagano un prezzo altissimo con un tasso di disoccupazione femminile aumentato del 63% nel giugno 2020, rispetto al 2019, dovuto alle minori opportunità di cui godono e al lavoro di cura non retribuito a cui debbono dedicarsi.
Il Libano ospita ancora oggi – a 10 anni dallo scoppio del conflitto in Siria – oltre 879 mila rifugiati siriani. Uomini, donne e bambini che rappresentano circa il 13% della popolazione totale del paese, costretti a sopravvivere, in tempo di pandemia, in condizioni sanitarie estremamente precarie, senza un lavoro e dovendo dipendere dagli aiuti umanitari.
La risposta di Oxfam
Oxfam lavora in Libano dal 1993. Da marzo 2020 è da subito intervenuta per aiutare le comunità locali e rispondere alla pandemia di COVID-19. Ad oggi, Oxfam continua a distribuire acqua, sapone e kit igienico-sanitari ai rifugiati siriani negli insediamenti informali, e ha raggiunto oltre 5 mila persone dall’inizio della pandemia.
Grazie alla campagna Dona acqua, salva una vita, Oxfam intensificherà il proprio lavoro al fianco delle comunità libanesi più vulnerabili, sostenendo le piccole imprese locali con l’obiettivo di creare nuove opportunità di lavoro e fornire un aiuto concreto ai tanti giovani disoccupati. I principali settori di intervento riguarderanno la gestione dei rifiuti e delle risorse idriche in aree come quella della città di Tripoli, dove la maggioranza delle famiglie siriane è senza lavoro o impiegata nel settore informale, percependo un salario che è il 38% inferiore al minimo salariale previsto dalla legge libanese.