“A un certo punto, prima di essere assassinato, Rabin ammise per la prima volta che il sogno sionista si era realizzato a spese di qualcun altro e infranse uno dei dogmi del sionismo: il fatto che fossimo arrivati in un Paese disabitato, uno spazio vuoto. Per la prima volta qualcuno ammetteva che, in realtà, quando siamo arrivati qui questa terra non era disabitata. Fu un momento molto intenso e simbolico, e io sentivo che avrebbe condotto prestissimo a un’inevitabile soluzione dei due Stati. Non pensavo davvero che dopo decenni Gerusalemme sarebbe stata ancora sotto il controllo israeliano”.
Oren Cohen, attivista per i diritti umani presso un’organizzazione della società civile israeliana di Tel Aviv
In un momento particolarmente critico del conflitto israelo-palestinese in cui l’escalation di violenza sui civili non accenna a fermarsi, qualsiasi nuovo passo in avanti nel processo di pace, compresa la proposta USA, sembra destinato a fallire, se gli attori in campo non apprenderanno dai gravissimi errori commessi nell’ultimo quarto di secolo.
Il nostro nuovo rapporto “Dal fallimento alla giustizia” (Come trarre insegnamento dagli Accordi di Oslo per promuovere un nuovo approccio alla pace israelo-palestinese nel rispetto dei diritti ) fotografa, a 26 anni dalla firma degli accordi di Oslo, gli errori commessi e le possibili strade da intraprendere per raggiungere una pace duratura.
Abbiamo raccolto le testimonianze di tanti che hanno vissuto sulla propria pelle gli effetti del fallimento di un processo di pace, che sarebbe dovuto durare cinque anni, ma che si è trasformato in una situazione di stallo, compromettendo il presente e il futuro di intere generazioni.
Una crisi umanitaria dimenticata
Mai risolta rimane, nei Territori Occupati Palestinesi, una crisi umanitaria dimenticata:
- 2,5 milioni di persone – di cui oltre 1 milione di bambini – dipendono dagli aiuti per la propria sopravvivenza
- 1,9 milioni di persone senza regolare accesso a acqua pulita e servizi igienico sanitari.
In una situazione di permanente tensione fatta di scontri, manifestazioni e rappresaglie: negli ultimi due giorni i bombardamenti israeliani su Gaza hanno causato 34 vittime tra cui 8 bambini e 3 donne.
Lo scorso agosto in risposta ai razzi lanciati dalla Striscia di Gaza, le autorità israeliane hanno imposto una riduzione del 50% delle forniture di carburante necessarie a tenere in funzione la principale centrale elettrica nella Striscia.
Gli effetti della “pace fallita” sulla vita di milioni di persone
“Sino ad oggi il fallimento del “processo di pace”, definito nel ’93, ha di fatto consentito una sistematica violazione del diritto internazionale, culminata nell’atroce offensiva su Gaza del 2014, e la negazione dei diritti fondamentali di una buona parte del popolo palestinese, che non è mai stato davvero coinvolto nelle decisioni sul proprio futuro. – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Ancora oggi 2 milioni di persone vivono intrappolate nella Striscia di Gaza, senza nessuna prospettiva. Tutto questo è il risultato di tantissimi errori da ambo le parti e di una politica quasi sempre unilaterale e imposta dall’alto, che ha portato alla paralisi dell’economia palestinese, al quadruplicarsi del numero di coloni negli insediamenti israeliani illegali (passati dai 116.300 del 1993 ai 427.800 attuali, escludendo Gerusalemme est) e alla cronicizzazione di un’occupazione che dura ormai da 52 anni senza nessuna reale prospettiva di pace per i palestinesi, gli israeliani e l’intera regione. Palestinesi e israeliani sono rimasti bloccati in un limbo che dura ormai da 26 anni e deve finire al più presto”.
Giovani senza futuro
Nel contesto di un’economia paralizzata – con una produzione pro-capite cresciuta di appena lo 0,1% dal ‘94 al 2014, e quasi totalmente dipendente dagli aiuti internazionali – a pagare il prezzo più alto dello status quo sono le donne e i giovani nei Territoti Occupati Palestinesi.
All’origine di condizioni tanto drammatiche, vi è la severità dei provvedimenti imposti dall’occupazione israeliana, che hanno portato a restrizioni della libertà di movimento delle persone, della forza lavoro e delle merci, alla sistematica erosione della base produttiva, alla confisca dei terreni, dell’acqua e delle altre risorse naturali, all’isolamento dai mercati internazionali, a oltre un decennio di blocco e di assedio economico della Striscia di Gaza, alla costosa frammentazione dell’economia palestinese in tre regioni separate e spezzettate tra Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est. A Gaza il blocco imposto ai suoi quasi due milioni di abitanti, iniziato in maniera strisciante nei primi anni ‘90 e realizzato in pieno dal 2007, ha impedito lo sviluppo a un punto tale che nel 2018 l’attività economica di Gaza si è ridotta dell’8% e la disoccupazione ha raggiunto il 52%, con punte del 74,5% tra le donne e del 69% tra i giovani.
In Israele uno dei livelli più alti di disuguaglianza tra i paesi Ocse
“Il fallimento del processo iniziato a Oslo ha prodotto, seppur in proporzioni diverse, conseguenze negative sia per i palestinesi che per gli israeliani – continua Pezzati – Anche in Israele si registra un livello di disuguaglianza tra i più alti tra i paesi Ocse, con una percentuale di israeliani che vivono sotto la soglia di povertà cresciuta dal 2000, pari al 18.6% della popolazione nel 2016”.
Un appello urgente alla comunità internazionale
In questo contesto Oxfam lancia quindi un appello urgente alla comunità internazionale affinché non si ripetano gli stessi errori del passato.
“La comunità internazionale ha una grandissima responsabilità per il fallimento del processo di pace. – conclude Pezzati – Per questo oggi non può restare ancora inerte e consentire che palestinesi e israeliani debbano sopportare il peso e gli effetti disastrosi di altri due decenni di false promesse e di un processo di pace che non è mai iniziato davvero. È necessario che ogni nuovo negoziato preveda prima di tutto il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, venga monitorato da terzi, preveda tempi chiari e certi, garantendo un progressivo processo di inclusione delle tante donne e giovani che vivono ai margini nei Territori Occupati Palestinesi”.
Un processo di pace difficile ma cruciale per cui Oxfam indica una road map.
Cosa fa Oxfam?
Nel contesto di una crisi protratta che continua a peggiorare, sono inevitabilmente le comunità più povere e vulnerabili le prime ad essere colpite. Per questo motivo Oxfam lavora in Palestina dal 1996– in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza – sia con interventi di emergenza, che con interventi di sviluppo tesi a migliorare le capacità di resilienza delle comunità locali più marginalizzate.
Durante i conflitti degli ultimi 10 anni (2008, 2012 e 2014) Oxfam ha potenziato il proprio lavoro a fianco della popolazione di Gaza. In un contesto dove il 97% dell’acqua disponibile non è adatta al consumo umano, ogni giorno lavora per garantire che 100 mila persone possano avere un serbatoio di acqua pulita vicino a casa e nei centri sanitari, servizi igienici e impianti di desalinizzazione dell’acqua funzionanti, aiutando i piccoli contadini ad avere l’acqua sufficiente per produrre cibo e a riutilizzare le acque reflue.