“Mi ricordo ancora che ero emozionatissimo al mio primo spettacolo in Siria. Avevo appena 20 anni e mi intimidiva tutta quella folla. Suonare l’Oud (strumento a corde di tradizione araba n.d.t.) mi è sempre piaciuto, ma da quel giorno è diventato parte della mia vita e per 10 anni non ho praticamente fatto altro.
Nove anni fa la guerra ha stravolto ogni cosa e da un giorno all’altro abbiamo dovuto imparare a sopravvivere, metterci in salvo, scappare, lasciandoci tutto alle spalle, pure la musica.
Da musicista sono diventato rifugiato. Ho rivisto la nostra casa in foto qualche tempo fa e non rimangono che macerie, solo qualche pilastro di cemento è rimasto in piedi. È terribile pensare a tutto quello che abbiamo perduto, così meglio non ricordare. Per 6 anni non ho più suonato l’Oud , ma un giorno l’ho ripreso in mano e capito che non tutto era perduto. Da due anni condivido questa passione con i miei studenti al campo di Za’atari, facciamo regolarmente lezione e li vedo diventare bravi.
Non abbiamo certezze per il futuro, ma oggi un po’ rinasco grazie alla musica e ai miei ragazzi”
Fathi, 43 anni, Campo rifugiati di Za’atari, Giordania