“Da domenica il mio quartiere non esiste più”

Gaza - Shejaeya“Ho vissuto a Shejaeya fino a 22 anni. – ricorda Ahmed Sourani, operatore di Oxfam Italia al lavoro all’interno della Striscia di Gaza, per soccorrere la popolazione colpita dal conflitto – Era uno dei quartieri più antichi e famosi di Gaza City. Un quartiere di 100.000 abitanti, soprattutto giovani sotto i 16 anni. Gente povera, ma con una grande dignità, piccoli agricoltori con poca terra da coltivare, ma sufficiente al fabbisogno delle famiglie. Prima dello scoppio della guerra, però la disoccupazione aveva già raggiunto il 40% a causa del blocco israeliano e delle restrizioni successive alla seconda Intifada del 2000. I miei ricordi più belli vanno al mercato del venerdì, il Souq Al Joma’a. La vitalità economica che sapeva sprigionare ogni settimana per le  strade, e le tante donne e bambini che, tra le sue bancarelle,  potevano trovare un ruolo e avere una voce importante all’interno della nostra società.
Shejaeya era il cuore pulsante dello spirito palestinese. Proprio sulle strade di questo quartiere si sono sviluppati alcuni importanti movimenti di resistenza nazionale che si sarebbero poi opposti al colonialismo. Qui sono nati Kamel Al Mughani e Mo’een Beseso, un poeta e un pittore che hanno saputo diffondere la propria arte in tutto il Mondo. E sempre qui hanno avuto la loro prima casa numerosi leader politici e due famosi calciatori della nostra nazionale. Poi, dopo bombardamenti israeliani  che domenica 20 luglio hanno raso al suolo praticamente l’intero quartiere, tutto è cambiato: il giorno dopo si contavano 60 morti tra cui 17 bambini e 14 donne, oltre 250 feriti e un numero imprecisato di persone costrette ad abbandonare le proprie case.
Oggi Shejaeya è un quartiere che non esiste più. Un quartiere svuotato di abitanti e ripopolato di sfollati, che camminano sulle quegli stessi mattoni che, pochi giorni fa, costituivano la loro casa. Shajaeya è diventato altro. E’ distruzione e paura, allarmi e bombardamenti. E’ il sangue delle tante vittime che domenica hanno perso la vita in questa inutile guerra. Rimangono solo i feriti, stipati nei pochi ospedali rimasti in piedi. La mia unica speranza è che, nonostante tutto, il dramma di questi giorni possa essere il preludio a un domani fatto di pace e serenità” .

Ahmed 49 anni, vive a Gaza City insieme alla sua famiglia. E’ nato e cresciuto a Gaza da cui si è allontanato solo per completare i suoi studi, prima nell’università di Birzeit, vicino a Ramallah, e successivamente in Spagna ed in Inghilterra. Nel corso dei suoi studi e della sua carriera professionale Ahmed si è sempre interessato di associazionismo e di sviluppo rurale con una specifica attenzione a contesti di estrema fragilità come è Gaza. Questa sua esperienza sul campo è condivisa all’interno di varie reti internazionali tematiche.
Dopo aver lavorato per varie organizzazioni palestinesi, nell’estate del 2013 ha raggiunto il team di Oxfam Italia. Di base a Gaza, lavora con colleghi e partner per promuovere la resilienza della popolazione ed attivare processi di sviluppo sostenibile nel settore agricolo.

Quando una barca significa “vita”….

Barche dei pescatori distrutteLa guerra si è portata via la mia barca – racconta Sohail Fadel Hassan Bakr, pescatore 50enne di Gaza padre di 8 figli – La pesca era la nostra sola fonte di sostentamento: non ho mai fatto altro, da quando sono nato. La Union of Agricultural Work Committees, un partner locale di Oxfam Italia, mi aveva fornito due anni fa una piccola imbarcazione e gli strumenti necessari per la pesca in mare e per provvedere ai miei cari. Ero felicissimo! Avevo la mia barca e potevo pescare! Certo, la situazione rimaneva comunque difficile per i pescatori nella Striscia: una volta sono stato addirittura attaccato in mare aperto. Confische, attacchi e perquisizioni erano all’ordine del giorno ( da parte della marina israeliana ndr). Però sono andato avanti, ho continuato a pescare. Ora la guerra ha distrutto ogni cosa: un razzo sparato dal cielo e la mia barca è colata a picco. Adesso non so anche dopo la fine della guerra, non so come riuscirò a mantenere la mia famiglia”.

Scappare dai bombardamenti

Così Itaf, operatrice di Oxfam, descrive quei momenti: “Quando i bombardamenti si sono intensificati, sono stata costretta ad abbandonare la mia casa con mio marito e mio figlio di due anni. Centinaia di persone stavano correndo per la strada… Ci siamo trovati intrappolati tra due blindati che hanno cominciato a spararci contro. Mio fratello è rimasto ferito così siamo dovuti tornare indietro. Ho visto una scena che non scorderò mai… Una bambina sotto le macerie di casa propria, ancora viva, che chiamava i suoi genitori. Non ho potuto fermarmi per aiutarla; ho immaginato che mio figlio fosse al suo posto. Fortunatamente in seguito ho sentito che è stata salvata e ora si trova in ospedale”.

Allevare sotto le bombe

Avevamo una vita tranquillissima – spiega Rehab Ibrahim Shaaban Gabin, un’allevatrice supportata dalla Union of Agricultural Work Committees, che viveva a Gaza con la sua famiglia – Riuscivo a mantenere la mia famiglia con il mio allevamento di pecore, senza troppi pensieri. Ma la guerra ha cambiato tutto. Lo scorso 11 luglio, durante l’offensiva israeliana, una bomba ha colpito la mia casa danneggiandola gravemente: porte e finestre sono andate completamente distrutte. Era troppo, non potevamo restare ancora lì. Siamo scappati e abbiamo trovato rifugio in un presidio dell’UNRWA a Gaza. Le mie pecore, l’unica fonte di sostentamento per me e la mia famiglia, sono stato costretta ad abbandonarle”.

Il sogno infranto di Ayman..

Emergenza umanitaria a GazaSognavo di produrre fragole e di diventare un coltivatore certificato per l’esportazione all’interno del progetto Global Gap – ricorda Ayman Subhi Subuh, un piccolo agricoltore padre di una famiglia di 9 persone – Con i miei figli eravamo riusciti a coltivare dieci appezzamenti di terra di 1.000 metri quadrati. Poi lo scorso 10 luglio, tutto è cambiato. Mentre passeggiavo per i miei campi, sono stato colpito dall’artiglieria israeliana: mi hanno sparato addosso, hanno distrutto tutto. Fortunatamente sono riuscito a scappare, e seppur ferito sono riuscito a rifugiarmi a casa dalla mia famiglia. Sembrava che il peggio fosse passato, ma si trattava di una tranquillità apparente, momentanea: poche ore dopo la nostra casa è stata bombardata e distrutta. Siamo stati costretti a fuggire, nel cuore della notte e abbiamo trovato rifugio in una scuola dell’UNRWA. Prima, volevo solamente coltivare fragfragole, ora prego perché la mia famiglia  riesca a sopravvivere a questa guerra assurda”.

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